L’inclusione è atto di comunità? Di quali pluralismi si può fare esperienza a scuola? Quale rappresentazione di lavoro educativo per l’inclusione si legittima o si contro-narra? Cambia la scuola quindi cambiano i servizi d’inclusione scolastica? L’inclusione è premessa oppure è l’esito di un processo? – sono alcuni degli interrogativi che hanno animato due giornate di riflessione e confronto a Parma, il 29 e 30 novembre 2024, promosse dalla cooperativa Proges insieme al Comune di Parma e alla cooperativa Aldia, a partire dai Servizi di inclusione scolastica gestiti sul territorio. Il titolo del convegno: “Quali inclusioni. Pratiche educative e inclusione sociale”.
La prima giornata si è sviluppata con tre gruppi di lavoro che hanno coinvolto attivamente gli educatori dei Servizi attorno a tre temi focus: il rapporto tra inclusione e progetto di vita a partire dall’analisi delle pratiche; i modelli di inclusione; la centralità strategica del ruolo dell’educatore rispetto alle dimensioni educative a scuola. La seconda giornata, invece, si è caratterizzata per l’organizzazione di un convegno aperto al territorio che ha visto il contributo di Francesco Cappa, docente di Pedagogia presso l’università di Milano Bicocca, Cesare Moreno, pedagogista e presidente dell’associazione Onlus Maestri di Strada, Vincenza Pellegrino, docente di sociologia presso l’Università di Parma. Importanti i contenuti suscitati sia dagli interventi dei relatori che dal dibattito con la scuola (educatori, insegnanti) che rilanciato in prospettiva i servizi di inclusione scolastica.
Il Comune di Parma ha restituito con sguardo longitudinale, nel tempo, i cambiamenti della scuola dal 2015 ad oggi: la popolazione scolastica nel Comune di Parma è aumentata del 3.5% e, in particolare, la popolazione in carico ai servizi di inclusione scolastica è aumentata del 128% con un numero significativo di situazioni con certificazioni riconducibili all’autismo (35%) e alla sfera dei disturbi del comportamento (20%).
Questi dati interpellano sia la visione dei servizi che i loro aspetti organizzativi. Sul territorio è stato introdotto negli ultimi anni il dispositivo organizzativo dell’equipe educativa scolastica per l’inclusione (superando quindi la forma ‘one to one’ e sviluppando la dimensione di gruppo a significare un concetto di inclusione allargata) e si è scelto di sostenere tavoli allargati di confronto e progettazione (con le scuole, le cooperative, le associazioni di familiari, i sindacati etc.).
I relatori hanno portato all’attenzione del pubblico il costrutto d’inclusione come contenuto ‘mainstreaming’ (diffuso) che necessita di essere non solo enunciato ma ri-significato nel contesto contemporaneo e tradotto in azioni collegiali (in un fare situato, sociale e contestualizzato nell’oggi).
L’inclusione è fatto collettivo, riguarda le comunità, richiama al senso dei legami sociali, è tema di territorio; il soggetto dell’educazione – ha richiamato Cesare Moreno – è la comunità: il progetto di vita cresce attraverso i legami e mediante una comunità educante creativa, tramite la condivisione emotiva, il gruppo (comunità/territorio, gruppo educativo) è utero dell’inclusione, è risorsa maieutica; l’inclusione viene prima (è premessa, non esito), l’educatore è colui che per primo incontra l’altro come risorsa, lo sguardo ‘contemplativo’ viene prima di quello analitico. Il racconto di Moreno slancia l’idea di una scuola resistente e democratica.
Francesco Cappa ha indicato che questa riflessione si colloca oggi in uno scenario di crisi delle professioni educative in cui occorre riproporre il ruolo politico di queste professioni, l’ancoraggio al senso sociale, alle dimensioni collaborative, e costruire altre rappresentazioni e narrazioni corali del lavoro educativo e dell’inclusione: costituirsi come comunità di reggenza dei processi d’inclusione. Allora i servizi d’inclusione scolastica diventano una chance professionale per testimoniare l’inclusione collettiva. L’invito è quello a problematizzare il lavoro educativo, ad agire con riflessività e a pensare le pratiche educative come pervasive.
Vincenza Pellegrino ha riportato alla lettura socio-antropologica: la disabilità come un dis-ovviare (togliere ovvietà) alle aspettative del mondo, il ruolo educativo non solo come ‘silenziatore’ di elementi di disturbo nella scuola, ma come figura con un mandato di lavoro sul contesto scolastico, famigliare, territoriale: occorre spendere le proprie energie professionali nelle dimensioni strutturali con creatività, anche cooperando con chi ‘esperto per esperienza’ può partecipare alla progettazione dell’inclusione di tutti.
In conclusione, rimangono alcune parole importanti da riportare e tradurre nel quotidiano dei servizi per rendersi interpreti dell’inclusione per tutti: comunità, reciprocità, rapporto scuola-territorio, pratiche d’incontro e collaborazione tra pluralità, valore politico dell’inclusione a scuola, riflessività (gruppi di pensiero) e pratiche, la cura di chi cura, il contributo di chi fa esperienza di non inclusione (bambini/e, ragazzi/e, famiglie), il pensare l’inclusione non solo nei luoghi deputati ad essa.
Proges si riconosce in una pedagogia viandante che ricerca, esplora, si nutre del rapporto col territorio per costruire modelli di inclusione e scuola che leggono la contemporaneità: è un impegno da consolidare, diffondere, da co-costruire in alleanza con i soggetti del territorio per una scuola vissuta come comunità di professionisti e risorse, insegnanti, educatori, famiglie, studenti che si riconoscono reciprocamente, in legame, che sono ‘gruppo-incubatore’ di cambiamenti organizzativi, ma soprattutto di cambiamenti culturali e dal significato pubblico per far crescere comunità inclusive e democratiche.
Pensare alle “inclusioni” e non fermarsi ai confini dei luoghi, delle istituzioni e dei progetti ma allargare lo sguardo ai “contesti” così come ci ha sempre insegnato Canevaro (più volte ricordato durante il convegno) e la sua pedagogia della complessità.
Sara Manzini